E’ ormai un triste “deja-vù” di questa pandemia. Con le attività chiuse e prospettive di ripartenza ancora indecifrabili, il problema degli affitti non pagati è diventato di stringente attualità.
A livello locale il problema è sentitissimo nel mondo alberghiero (quasi il 50% degli hotel di Cesenatico sono gestiti da affittuari), in quello dei ristoranti (molti si sono buttati nel delivery proprio per onorare il canone), nei bar e ovviamente anche nei negozi, la filiera più colpita, quella che in queste settimane di lockdown non ha potuto neppure contare sulla variante della consegna a domicilio.
Chiariamo subito un paio di aspetti: affittuari e locatari sono spesso sulla stessa barca. Perché se il negoziante, per ovvie ragioni, non può onorare i suoi impegni, è anche vero che per molte famiglie di proprietari, quel locale dato in affitto è una fonte di reddito che integra uno stipendio o magari una pensione.
Secondo punto: entrambi le parti in causa hanno strumenti giuridici efficaci per far valere, in qualsiasi sede, le proprie ragioni. Dunque, ad esempio, la sospensione unilaterale del pagamento dell’affitto, anche in uno scenario da “calamità naturale”, non è un diritto sancito dalla legge. Il locatario, d’altra parte, non può ignorare le “mutate condizioni del mercato” e dunque quel contratto firmato non può essere considerato ad libitum una garanzia giuridica blindata.
In questi casi, dunque, per evitare di dirimere il contenzioso in tribunale (una strada che non converrebbe a nessuno e che porterebbe, in molti casi, ad un beffardo verdetto di salomonica mediazione), la strada più conveniente resta sempre quella della ragionevole negoziazione. Anche perché questa emergenza epidemiologica finirà e dunque avere una “visione di prospettiva” è sempre utile.
Una delle strade più praticate, in questi casi, è il ricorso al deposito cauzionale che, in questi mesi, può fungere da serbatoio per il pagamento delle mensilità. In questo caso, il locatario percepisce regolarmente il suo affitto, ma rinuncia per un ragionevole lasso di tempo alle garanzie. Il vantaggio per l’affittuario, in questo caso, è la possibilità di usufruire dell’esenzione d’imposta del 60%: se, ad esempio, il canone è di 1000 euro al mese, il negoziante avrà 600 euro di bonus con cui pagare le prossime scadenze fiscali, dal saldo dei suoi contributi al versamento dell’Iva. Per altro, nel Decreto di aprile, si parla di estendere il bonus affitti (ovvero il credito d’imposta del 60%), limitato a marzo solo a determinate categorie catastali, anche ad alberghi, capannoni d’azienda, ristoranti, bar e studi professionali.
Detto questo, la parziale riduzione del canone, che dev’essere adeguato al momento congiunturale, è considerato un approdo quasi scontato perché, anche in caso di ripartenza, è lecito attendersi – almeno nei prossimi mesi – un radicale ridimensionamento del volume di affari. D’altra parte, la riduzione dell’affitto non può essere “per sempre” perché, esaurita la fase emergenziale, non è da escludere che gli incassi tornino quelli di un tempo. Dunque, giusto pensare ad una decurtazione dell’affitto, ma limitatamente ad un determinato periodo. In ogni caso, il consiglio resta sempre lo stesso: poiché non ci sono norme precise meglio mettersi attorno a un tavolo e concordare una misura per salvare il rapporto.
Per gli Alberghi non è proprio come descritto nell’articolo, non si tratta di Locazione, bensì di fitti d’azienda dove i canoni molte volte sono anticipati e c’è un sostanziale squilibrio tra le parti contrattuali.
L’affittuario potrà chiedere inizialmente una rinegoziazione, al fine di valutare se sussistono le condizioni per una prosecuzione del contratto a condizioni di equità nel rispetto di quanto previsto dall’art 1467 secondo comma del cc, In difetto di accordo si potrà chiedere la risoluzione del contratto ex art 1467 primo comma cc in ragione della intervenuta eccessiva onerosità sopravvenuta causa il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili e, qualora avrà anticipato delle somme, comme spesso accade, potrà chiederle in restituzione, nella misura in cui non ha usufruito del bene a fini aziendali causa pandemia e restrizioni.
Premettendo che , in molti casi, si tratterà di una guerra tra poveri, ritornando all’articolo, credo sia assolutamente sbagliato e non aderente alla realtà mettere sullo stesso piano affittante e affittuario in quanto chi paga un canone di affitto d’azienda alberghiera, non solo avrà un mancato guadagno per l’arresto dell’attività, ma si troverà di fronte anche al fatto di sostenere un ingente esborso per il canone d’affitto oltre tasse, utenze e spese fisse, con una capacità di reddito insufficiente e con il rischio concreto della mancata possibilità di prosecuzione della propria attività. Dall’altro lato l’affittante come prospettiva, avrebbe solamente un mancato guadagno o meglio un minor guadagno, in questa situazione.
Chiudo sul credito d’imposta … Se non si avranno redditi o ancor più probabile utili, a cosa serve??????