A cura di Gian Piero Travini
foto Alessandro Mazza
Antonio Brighi è un globetrotter della palla a spicchi. Harlem non c’entra nulla, lui è di Cesenatico, e invece del Madison Square Garden è uno da Giardini Margherita, ma ha fatto il suo in Serie B: Isernia, Vasto, Sant’Elpidio, Senigallia, San Miniato, il ritorno in Romagna a Lugo – dopo le giovanili passate a Cervia-Cesenatico e il debutto in prima squadra a Ravenna -, Vicenza e Fiorenzuola fino ai playoff. Ora il ritorno a casa, dopo sette anni. Tipo Ulisse, ma senza tela di Penelope perché lui è uno che fa ma che non disfa.
Crede nel lavoro duro, nel gioco di difesa, nei Tigers, la sua nuova squadra.

Partiamo dalla fine, Antonio: playoff con Fiorenzuola non previsti, tu ti metti in mostra con delle buone triple.
“Poi però passa Chiusi 3-0. Dovevamo salvarci, invece abbiamo compiuto un’impresa storica per la città. A fine campionato ricevo la chiamata da Cesena e, onestamente, non ci ho pensato due volte e sono tornato a casa. A Fiorenzuola c’era grande qualità e forse potevamo anche attaccare un po’ di più… e io avrei potuto anche fare qualche minuto in più, ma tra gli esterni si sgomitava parecchio e comunque le cose andavano bene. Cesena è un’occasione d’oro”.
Cosa ti aspetti.
“Una gran bella annata. La scorsa stagione è stata strana, a porte chiuse. In casa questa cosa ti taglia le gambe e il livello agonistico è stato minore. Quest’anno spero avremo risolto i problemi con il covid e che si possa tornare in presenza”.

Petrucci è in tacchetta con il CTS e in generale i dirigenti dicono che con la capienza al 25% non abbia senso giocare.
“Ma piuttosto che niente come l’anno scorso è meglio piuttosto! Le società fanno una gran fatica, e lo so, ma almeno un po’ di pubblico è comunque una ripartenza. Magari facciamo così: li facciamo entrare solo a Cesena i tifosi?”.
Il pubblico ti è mancato.
“Mi è mancato il pubblico, ma soprattutto non ho mai avuto i tifosi che venivano per me. È sette anni che giro l’Italia e ovviamente i miei amici non riescono a venirmi a vedere: adesso ne abbiamo l’occasione. La famiglia a bordocampo è importante, ma vuoi mettere la differenza con loro e tutti i miei amici?”.
Parliamo del campo: sei un 1-2 che fa ugualmente bene i due ruoli. Ti vedremo ancora alternarti o sarai più specializzato a Cesena?
“Ho parlato con il coach e coprirò sia play che guardia, come sono abituato a fare da tempo. Io sono uno che guarda sia difesa che attacco, e cerco sempre di dare energia e corsa alla squadra. Il progetto dei Tigers credo funzionerà: ripartire dal territorio, con giocatori romagnoli è una gran cosa”.

Niente Giardini Margherita quest’anno?
“No, ma mi sto comunque facendo molti campetti. Poi, i Giardini Margherita sono un’altra cosa. Tra l’altro ho vinto due volte consecutive con il Matteiplast Ristorante Alice: finali con 3mila persone a vederti… una roba che si vede solo in Emilia-Romagna e solo a BasketCity. Però mi sto tenendo in forma perché sono davvero carico per iniziare la stagione: ma tra un canestro e l’altro, mi godo l’ItalBasket”.
Impressioni sulle Olimpiadi dell’ItalBasket?
“È la prima Nazionale con cui possiamo davvero divertirci da tanto, tanto tempo. È un gruppo unito e sembrano dei ragazzini, sempre pronti a sostenersi. Tutti sono utili e nessuno è indispensabile. C’è altruismo e voglia di giocare a basket: il merito credo che sia del talento e della forza della generazione di Fontecchio e Tessitori”.
Che è poi la tua, anche se sei un ’96 e loro hanno uno e due anni in più di te.
“Io con Fontecchio ci giocavo nelle giovanili, me lo ricordo. Fa strano a pensarci, ma sì, il livello della nostra generazione è pazzesco. Penso anche a mio fratello – Lorenzo, gioca in serie C Silver -, che ha la stessa età di Tessitori: nelle giovanili in cui giocava lui, a Rimini con coach Ceccarelli che adesso è all’NPC Rieti in A2, c’era un livello di competitività altissimo. Però ho paura che siamo agli sgoccioli”.
Beh, c’è la NextGen dei Mannion, Banchero, Spagnolo che adesso è al Real.
“Sì, ma i primi due citati sono già in USA. Lì ci siamo, abbiamo sfondato e quindi riusciamo a mandare i giovani migliori fuori, ma ho l’impressione che il livello delle giovanili italiane stia un po’ soffrendo sui nuovi prospetti. Credo dipenda anche dagli sponsor che fanno fatica a concentrarsi sui territori, e quindi le società sono costrette a investire di meno”.

Parliamo di NBA.
“Luka Dončić. Questo a 22 anni è già adesso uno dei più forti giocatori di sempre. Ecco, lui è un alieno, non è di questo mondo, ha debuttato in Eurolega a 16 anni e l’ha vinta ed è diventato MVP a 19 anni, ma in Europa stiamo iniziando ad avvicinarci molto al talento dei giocatori americani. L’Eurolega sta diventando molto, molto competitiva, e lo si è visto su Milano, che arrivata a 90 partite al termine della regular season, con l’Eurolega alle spalle, si è sciolta fisicamente davanti a Bologna. Ma vuol dire che è lì, in Europa, che c’è la crescita. E quando arrivano in NBA dicono subito la loro: io adesso ho in testa Dončić, perché fa 48 punti alle Olimpiadi e mi ribalto dal divano, ma Jokić è in NBA dal 2015 e dopo solo sei stagioni è diventato il centro più forte della Lega. Ed è serbo. Stiamo vivendo un momento pazzesco per appassionarci alla pallacanestro”.
E per tifare Tigers.
“Assolutamente sì: ci sono io! Quindi state vicini alla squadra perché faremo ottime cose!”.