Ricorre domani l’anniversario della morte di Marco Pantani, il più grande ciclista romagnolo di tutti i tempi: era il 14 febbraio del 2004 e tuttora è una vicenda che continua a far discutere.
Sulla morte del campione hanno indagato gli uffici giudiziari di Rimini, Forlì, Roma, Napoli e secondo quanto riportato da Lapress, tutti questi fascicoli sono stati acquisiti dalla Procura di Trento.
La magistratura di Trento sta andando a fondo “per associazione a delinquere di stampo mafioso” finalizzato alle scommesse clandestine e collegata al decesso del ciclista.
Si tratta, ad oggi, di un’ ipotesi di reato che al momento non ha indagati e che a livello temporale inizia proprio in Trentino.
Si tratterebbe delle presunte alterazioni dei campioni ematici di Pantani avvenuti in occasione dei controlli anti doping la mattina del 5 giugno 1999 e che si sono conclusi la sera del 14 febbraio 2004 nel residence di Rimini.
Tutto iniziava poco prima della frazione di Madonna di Campiglio dove Pantani era in vantaggio di 6 minuti al Giro d’Italia.
Il sospetto dunque è quello di aver manipolato, ad opera della camorra, delle provette con il sangue di Marco Pantani.
Le persone informate sui fatti ed ascoltate in procura per ricostruire quanto accaduto, sono ad oggi quindici: la ricostruzione di quanto successo verte sulle modalità di prelievo e del conoscere il perchè alla provetta del campione romagnolo non fosse assegnato un numero progressivo e anonimo ma piuttosto il 11440.
Fra gli atti acquisiti dalla Procura anche le dichiarazioni rese al tempo, ai carabinieri, dell’ex capo clan camorristico di Mondragone poi divenuto collaboratore di giustizia: “se Pantani vinceva il Giro avrebbe buttato in mezzo alla via quelli ce gestivano le scommesse”:

In tutta questa vicenda non mancano i “buchi investigavi”, fra i quali quelli rilevati dalla Commissione parlamentare antimafia come si legge nelle “risultanze relative alla morte dello sportivo Marco Pantani ed eventuali elementi connessi alla criminalità organizzata che ne determinarono la squalifica nel 1999”.
Gli stessi atti riferiscono per la prima volta, delle audizioni degli operatori del 118 che trovarono il ciclista deceduto da ore e che mai vennero ascoltati durante le prime indagini. Altrettanto non condivisibile dalla Commissione antimafia “la frettolosa conclusione delle indagini” ovvero la circostanza per la quale non rilevarono impronte digitali nel luogo del rinvenimento del cadavere nonostante la presenza abbondante di sangue come attestato dalle fotografie della scientifica.
Sull’operato della procura, l’avvocato della famiglia Pantani, Fiorenzo Alessi, rappresenta che “quando un ufficio giudiziario, com’è in questo caso la procura di Trento, dimostra di svolgere diligentemente e compiutamente la propria funzione e il proprio lavoro, la migliore forma di apprezzamento e condivisione sia un rispettoso silenzio”.