di Alma Perego
La voce dei medici di famiglia in tempo di Coronavirus. E’ il Salento che dà i natali a Daniela Verdesca, medico di famiglia del gruppo associato Medici di Medicina Generale all’ospedale Marconi di Cesenatico. “Ho deciso, insieme alla mia famiglia, quali studi ed eventuale carriera intraprendere – racconta la dottoressa – così l’Università di Bologna è stata la mia seconda casa fino al tempo della laurea. Lì ho imparato a muovermi autonomamente, a crescere e maturare in questa terra che mi ha accolto. Dopo aver fatto esperienza presso l’Asl di Lecce, quale precaria di guardia medica notturna e festiva, la mia ‘gavetta’ ha proseguito il suo percorso riportandomi in Romagna e precisamente a Cesenatico, dove ho svolto servizio di guardia medica turistica nei mesi estivi; poi a Savignano, Gambettola, San Mauro Pascoli e Cesena. Dal 2002 sono diventata titolare di un posto di MMG (Medici di Medicina Generale), prima a Valverde nello studio condiviso con un collega, poi nel gruppo associato dell’ospedale Marconi, dove ancora oggi mi trovo. Considero la medicina associata una marcia in più, in gruppo si lavora meglio e si risolvono i problemi insieme”.
Pazienza, determinazione e capacità d’ascolto diventano i cardini principali della professione. “L’ascolto è fondamentale – sottolinea – si impiega certo più tempo, consente, però, di ottenere tante informazioni finalizzate poi alla correttezza di una diagnosi. In questo periodo di emergenza da Covid-19, il nostro lavoro di medici di famiglia ha preso sfumature diverse; si è imposto un cambio di ruolo notevole e ci siamo adattati alle disposizioni del coordinamento dell’U.S.C.A. (Unità Sanitaria di Continuità Assistenziale) che insieme al Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Ausl Romagna, decide il da farsi fissando dei protocolli cui è necessario attenersi per la buona riuscita del lavoro di squadra. La trasformazione è avvenuta in tempi molto rapidi e si è reso necessario uno spirito di adattamento al quale non eravamo pronti; insieme abbiamo assimilato velocemente e fatto nostro il nuovo ruolo per affrontare ciò che non è riconducibile a una malattia organica, ma esige una cura specifica. Noi siano il primo filtro telefonico, i nostri telefoni sono bollenti: in quattro ore di ambulatorio ogni 10 minuti trillano e dobbiamo trovare le energie per incanalare le segnalazioni secondo le priorità che riteniamo opportune. Una volta operata la selezione, informiamo a tempo record gli organi preposti per recarsi a domicilio se il paziente è sospettato di positività al virus, poi, dopo aver ricevuto la diagnosi, diventiamo il tramite con la ‘sorveglianza telefonica’ che deve monitorare lo stato di salute del paziente. Certo è che le altre patologie esistono ancora e qualche paziente si reca in ambulatorio, anche se, devo dire, in misura molto minore rispetto al prima emergenza. La sinergia con la segreteria dell’ospedale ha raggiunto ottimi livelli, per evitare gli assembramenti agli sportelli si forniscono i codici al telefono o tramite fascicolo sanitario al fine del ritiro dei farmaci direttamente in farmacia. In questo periodo di incertezze e inquietudini il nostro lavoro di rassicurazione è una costante, anche questa è una cura! Le fragilità, le paure, se non il terrore, a volte non sono facilmente governabili. Io personalmente non faccio del conforto un’azione preponderante, preferisco svolgere il mio ruolo di approfondimento qualora si ravvisi un percorso da seguire usando i miei strumenti di conoscenza, mi spiego: per il supporto psicologico esco dai protocolli e avvio le opportune ricerche per risolvere i problemi che man mano si presentano. Questo è un lavoro capillare, diverso da quello diagnostico e di cura cui eravamo abituati a svolgere. I pazienti si sentono così più tutelati, non abbandonati, e sanno che svolgiamo il nostro lavoro con il cuore al servizio della comunità tutti i giorni per garantire il servizio sanitario. Per quanto riguarda i dispositivi di protezione ritengo che, per il ruolo che attualmente svolgiamo noi medici di medicina generale, siano corretti, ovviamente le mascherine chirurgiche e i guanti sono i nostri compagni quotidiani”.

“Quando questa estenuante emergenza avrà fine, non cambierò il mio stile di lavoro con i pazienti; mi manca tanto la relazione, il contatto fisico, cogliere quelle espressioni sui loro visi che al telefono si possono solo immaginare e… vorrei tanto quest’estate fare un bel bagno nelle acque del mio Salento e godere della natura della mia terra, anche se è in questa terra romagnola d’adozione che posso dire di aver raggiunto piano piano i miei obiettivi con professionalità, voglia di conoscere e sperimentare nuove formule anche attinenti alla ricerca epidemiologica per rafforzare la rete di protezione, alla base del mio giuramento di Ippocrate!”.