Il tanto celebrato bonus vacanze da 500 euro è la riprova che – quando si parla di turismo balneare – là a Roma si procede un po’ a tentoni e che, evidentemente, le istanze dei nostri sindaci o non arrivano o vengono puntualmente ignorate. Il “tax credit vacanze”, per come è strutturato nella bozza del decreto, a prescindere dagli esiti che produrrà, costringerà infatti gli albergatori ad anticipare soldi che non hanno.
Il voucher potrà essere speso, dal 1° luglio al 31 dicembre 2020, in alberghi e strutture ricettive da famiglie con un reddito Isee inferiore a 40-50 mila euro, anche se nel decreto è ancora indicata la soglia dei 35mila euro. In pratica, si tratta di un credito pari a 500 euro per nucleo familiare (150 euro se si tratta di single) e varrà, in parte, come sconto sul corrispettivo dovuto e per una minima quota come detrazione di imposta al momento della dichiarazione dei redditi. Ammesso e non concesso che il bonus possa rivelarsi davvero allettante per le famiglie meno abbienti, resta da capire per quale enigmatica ragione a farsi carico dello sconto applicato debbano essere i gestori delle attività ricettive che, dunque – in un periodo di forte crisi di liquidità – al momento del saldo del conto, incasseranno meno soldi.
Anche perché, quando e in che modalità, lo Stato verserà poi il rimborso agli albergatori? La domanda non è affatto marginale perché, da sempre, quando si tratta di pagare, la lentocrazia italica costringe i creditori a lungaggini intollerabili (basti pensare, ad esempio, ai nostri agricoltori che, per le loro indennità, attendono sempre diversi mesi). Inoltre, non è escluso che il rimborso possa avvenire tramite esenzione fiscale, ovvero con uno “storno” dalle imposte dovute. Insomma, più che un aiuto concreto alle imprese, per come è concepito, sembra né più né meno una delle tante misure contro l’evasione.